#16 Che “genere” di lingua parliamo?

Chiedere “che genere di lingua vogliamo parlare” non è fare una domanda oziosa: trattare laicamente questo tema significa tollerare che per ogni concetto espresso è vero anche il contrario; non perché le tesi si neghino, ma perché coesistono.

Il linguaggio forma la società, la lettura delle parole ci è guida: “poesia”, ad esempio, deriva da un verbo greco che significa “fare, costruire”, cioè le parole costruiscono la nostra visione del mondo.

Ma è altresì vero che le parole sono conseguenza del nostro modo di concepire il mondo che ci circonda, che il linguaggio segue e descrive le azioni e che muta al mutare della cultura e della società: le scelte sulla lingua sono davvero e solo nella disponibilità di chi la usa, essa non tollera imposizioni dall’alto, semplicemente le rigetta nell’alveo del desueto.

L’italiano è una lingua che svilisce il genere femminile inglobandolo nel genere maschile plurale; è la Storia, agita al maschile, che le lingue raccontano.

Tuttavia, riteniamo che la soluzione non possa essere una disapplicazione di genere delle regole grammaticali quale reazione riequilibratrice: vediamo in ciò il rischio di mettere in ridicolo, nel senso proprio di rendere strumentalmente risibile, un intento serio che è da sostenersi.

Non riteniamo che forzare su espressioni, come minimo cacofoniche, ma certamente lunghe e confuse, sia un modo utile alla causa.

Fra le caratteristiche naturali della lingua, che fa autoselezione di sé da millenni, vi sono quelle della chiarezza espositiva e della velocità: fare un’operazione culturale, pur degna negli obiettivi dichiarati, contraria a questi principi rischia di rendere vano proprio l’intento prefisso.

Quale esempio controproducente per i motivi esposti, citiamo la frase “le matite e i libri sono belle”, che vede l’utilizzo dell’aggettivo femminile accordato ad una pluralità di sostantivi maschili e femminili, come da alcuni voluto sostenendo che se l’aggettivo si piega a ignorare il femminile può piegarsi ad ignorare il maschile; crediamo, invece, sia un modo efficace di procedere quello che trova nella selezione corretta degli strumenti di cui la lingua già dispone la giusta prospettiva di un linguaggio, sostanziale e non formale, di genere: se sostituiamo, in questa ottica, il termine “uomo” con il termine “persona”, invece che “i diritti dell’uomo” avremo i “diritti alla persona”, espressione ben più efficace e inclusiva.

Il dibattito sul linguaggio di genere rischia, nell’opinione pubblica, di essere ridotto ad espressioni bizzarre, mediamente identificate con “suona male”, che sottolineano la discriminazione di genere invece che appianarla.

Oggi crediamo che parlare di linguaggio non sessista implichi un’operazione più profonda che non si disperda in aspetti puramente formali, ma provveda a “decostruire il pensiero unico” (Dominici) che rappresenta la realtà sociale in ottica prettamente maschile; e per introdurre nella narrazione del mondo sociale un’ottica femminile è necessario dare maggior voce alle donne, cambiando, ad esempio, il loro ruolo sui media.

Queste le considerazioni che ci sono state guida per l’aggiornamento al linguaggio di genere del nostro Statuto e del nostro Regolamento; in essi le qualifiche di ruolo sono state declinate al maschile e al femminile, ma non sono stati, ad esempio, variati i pronomi personali, in coerenza con i motivi sopraesposti: ad esempio, “essi” non è stato variato in “essi ed esse” proprio per non impedire la necessaria velocità del linguaggio e non limitare la chiarezza della frase.

L’aggiornamento al linguaggio di genere dello Statuto e del Regolamento, atto visibile e di grande soddisfazione, è uno dei frutti di un processo di rinnovamento profondo che ha riguardato la Struttura Donne e Politiche di Parità e di Genere.

Abbiamo impostato un nuovo modo di lavorare e di produrre basato sulla partecipazione e sulla reale condivisione dei compiti, con fortissimo apporto di idee e competenze da parte di tutti i componenti la Struttura, partendo dall’assunto che fosse necessario, oltreché statutariamente previsto, incardinare strettamente il nostro operare agli obiettivi della Federazione, contribuendo, in modo quanto più possibile concreto, alla riuscita del risultato comune.

Abbiamo inoltre lavorato sul proselitismo, mettendo a disposizione dei dirigenti sindacali uno strumento, Fattore Tempo, che consentisse loro, a portata di cellulare, di essere informati e quindi competenti, veloci e quindi efficienti, in tutte le materie legate alla maternità, congedi e disabilità, comprendendo all’interno di esso, la legge, i contratti Nazionali ABI, ANIA, Equitalia: consegniamo al futuro l’impegno di diffonderne maggiormente l’abitudine all’utilizzo, rimanendo convinti dell’utilità che esprime, e di ampliare la nostra pubblicazione ricomprendendo il contratto BCC, appena il comparto abbia trovato un suo assetto.

Abbiamo anche rafforzato i legami con le strutture confederali attraverso percorsi di approfondimento condivisi: valorizzare e diffondere il valore aggiunto della nostra confederalità e crescere nella proposta è un altro impegno che vogliamo lasciare al futuro.

Il futuro sarà roseo.

Ma se il pensiero corrompe il linguaggio,
anche il linguaggio può corrompere il pensiero.
(George Orwell)