#15 Asimmetrie simmetriche

Mediamente le donne svolgono 300 minuti al giorno di lavoro non pagato, gli uomini 100, fonte OCSE 2016.

Nel 2016, dati INPS, solo il 14% dei padri ha usufruito del congedo parentale, nonostante la fruizione congiunta consentisse di aumentare il numero totale dei mesi di congedo da 10 a 11.

Anche noi abbiamo fatto un’indagine, la nostra ascientifica e su un campione statisticamente meno definito: abbiamo parlato con le persone sui luoghi di lavoro e abbiamo consultato un buon numero di blog femminili in rete.

Ne è emersa la convinzione che per ogni uomo non pronto ad interpretare correttamente il proprio ruolo domestico, c’è una donna non pronta a delegare un pezzo del proprio fare quotidiano (ovviamente ci riferiamo alla media e non contempliamo i casi di violenza fisica o psicologica).

Però questo duplice atteggiamento non funziona: alla lunga si incarnano l’abitudine, il senso del dovere o quello del diritto, e nasce la frustrazione.

È necessario cambiare e il cambiamento vero, spontaneo, condiviso, duraturo non può che essere culturale.

Abbiamo bisogno di un vero e proprio processo culturale che pervada la società ad iniziare dal vivaio della società del futuro: la scuola.

Si vanno oggi diffondendo numerosi libri per educare alla parità sin dalle scuole d’infanzia e materne: sarebbe di certo decisivo inserire l’educazione alle pari possibilità nei programmi scolastici; senza questo passaggio culturale non troveremo la soluzione del problema e continueremo a ragionare in termini di rimedi, pur efficaci e necessari, come il meccanismo delle quote.

La società che auspichiamo, quella in cui vogliamo credere, è una società che non ha bisogno delle quote per consentire ai talenti di emergere, siano essi femminili o maschili.

Dei 300 minuti di lavoro non pagato svolti ogni giorno dalle donne, probabilmente farà parte anche l’asimmetrica divisione dei compiti legati alla genitorialità.

Accanto ad ogni altra considerazione di tipo sociale e culturale dobbiamo premettere un dato economico: il sacrificio salariale previsto dal congedo parentale è, stante il gender pay gap, spesso maggiore sulle retribuzioni maschili.

Puntualizzato questo dato riteniamo che le considerazioni sopraesposte relative ai carichi di lavoro familiari valgano ugualmente per quanto riguarda la condivisione del “tempo della genitorialità”.

Molti uomini sembrano non essere disponibili ad assentarsi dal lavoro temendo di perdere possibilità di carriera o anche solo di ruolo, oppure, nei lavori di fascia bassa e ripetitivi laddove non si corre il rischio di essere esclusi da una progressione di carriera perché non esiste possibilità di carriera, non hanno la cultura per decidere di sostituire “tempo di lavoro” con “tempo della famiglia”; non tutte le donne, per contro, sembrano non essere disponibili a rinunciare al tempo da dedicare in via esclusiva alla cura dei figli per cedere una parte del congedo indennizzato, massimo 6 mesi fra i due genitori, agli uomini.

Sembrerebbe, quindi, di poter rilevare una doppia, simmetrica indisponibilità: per gli uomini quella di rinunciare a parte del tempo di lavoro, per le donne quella di rinunciare a parte del tempo domestico.

Possiamo, e dobbiamo, ragionare sui possibili rimedi, ad esempio retribuire con una percentuale maggiore il congedo parentale fruito dal padre rispetto a quello fruito dalla madre per incentivare l’utilizzo del congedo da parte dei padri, ma la soluzione del problema riteniamo essere, anche in questo caso, di tipo culturale.

Il solco sarà diritto
e il raccolto abbondante
se i due cavalli che trainano l’aratro
procedono alla stessa velocità.
(Platone)