#9 I fondamenti attuali del localismo mutualistico nel credito

Il “sistema economico Italia” è in larga misura ripiegato su se stesso; non importa qui approfondire se ciò dipenda principalmente dall’insufficiente sostegno offerto dalle banche alla crescita della domanda aggregata o se, viceversa, le banche stesse siano vittime di tale condizione: nella situazione data il processo è circolare.

È comunque evidente che la morfologia della struttura socio-produttiva italiana richieda una presenza bancaria plurale nella “biodiversità” di modello e missione, ma anche che sappia agire, in alcune circostanze, come un “sistema”, tra e con gli altri soggetti economici, istituzionali, imprenditoriali e sociali.

Ciò vale anche per il Credito Cooperativo, che rappresenta una specificità insostituibile di questa “biodiversità” e che si avvia alla terza grande trasformazione della propria storia; tale trasformazione lo modificherà in profondità come mai accaduto in precedenza.

L’intensità del cambiamento in atto nel Credito Cooperativo è superata, in termini di rilevanza, dalla velocità che sarebbe richiesta dalle criticità crescenti.

Occorre imboccare con determinazione la strada prospettata dalla legge di riforma e puntare all’unicità di sistema per garantirne le prerogative e la prospettiva.

Non è più il tempo delle divisioni, ma della coesione.

La nostra azione si deve misurare con questo quadro di complessità inaudita; abbiamo gli strumenti: occorre migliore l’efficacia organizzativa.

Il nostro modo di intendere la rappresentanza è esigente, perché rifugge le semplificazioni; ci contraddistingue un pragmatismo radicato in analisi puntuali, proprie dei grandi soggetti collettivi non corporativi, che non inseguono opportunisticamente le contingenze associative, ma si candidano a governare i processi e le grandi trasformazioni.

Da una buona e competente analisi discendono, infatti, le scelte più efficaci, soprattutto nelle fasi più complesse e di grande cambiamento.

A questo proposito è opportuno citare quattro momenti emblematici nella storia recente del Credito Cooperativo.

Il CCNL del 2012 introdusse un apparato strumentale molto innovativo, che, anticipando i tempi, creò le condizioni per svolgere un’azione preventiva mirata ad anticipare l’apice della crisi delle BCC ancora in divenire; furono già allora immaginati gli strumenti gestionali per governarla a beneficio della coesione di sistema e delle tutele reali a partire dall’occupazione, ma in buona parte tali strumenti, soprattutto quelli preventivi, non sono stati applicati, nostro malgrado.

L’analisi sul posizionamento di sistema delle BCC effettuata dalla nostra Organizzazione all’inizio del 2014, poi divenuta patrimonio unitario, anticipò puntualmente sia quanto sarebbe accaduto, per quali ragioni e con quali effetti, sia come si sarebbe potuto evitarlo; sappiamo con quale miope resistenza fu accolta, ma oggi si sta comunque procedendo in quella direzione addirittura con l’indirizzo autorevole della legislazione primaria e secondaria, anche se circa tre anni di ritardo hanno notevolmente complicato la situazione.

Il 16 aprile 2015, in un convegno appositamente organizzato, proponemmo con il consueto pragmatismo la nostra analisi, mai fine a se stessa, e la nostra proposta come “un riferimento possibile per una riforma del credito cooperativo al servizio del bene comune”.

L’iniziativa, in continuità con l’analisi precedente, si addentrò ulteriormente nelle ragioni che giustificano l’esistenza di un’offerta di credito mutualistico e nelle condizioni che lo consentono, a partire dall’architettura della riforma in gestazione; fu molto partecipata e ricca di contributi che poi hanno formato, in buona misura, le linee evolutive della riforma stessa nei mesi successivi, che hanno poi condotto al dettato legislativo.

Il 29 febbraio 2016, in occasione dell’audizione alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati nell’ambito della conversione in legge del Decreto Legge 14/2/2016 n. 18, argomentammo l’insostituibile funzione sociale (presenza esclusiva in oltre 600 comuni, in 4.745 comuni e frazioni e per circa 1 milione e 165.000 abitanti), il grado di interrelazione raggiunto con le comunità di riferimento (un abitante su 50 è socio e 1 su 10 è cliente), la rilevanza economica (23,7% delle quote di mercato nell’artigianato e piccole imprese, 18% nell’agricoltura, agroindustria, alloggio e ristorazione ecc.) e anticiclica (continuità di sostegno all’economia produttiva nel perdurare della crisi) del Credito Cooperativo.

Dichiarammo inoltre la nostra condivisione per l’obiettivo generale della riforma, finalizzata a superare quelle stesse criticità strutturali del Credito Cooperativo da noi già evidenziate nell’analisi del 2014, a patto che non ne snaturasse la missione, la capillarità, l’orientamento mutualistico, e conseguentemente chiedemmo di porre rimedio ad alcune previsioni che ritenevamo errate del D.L. in questione: in primis, la cosiddetta clausola di way out “aperta”, che alle condizioni previste avrebbe generato contraddizioni insanabili e un’instabilità perenne, contraddicendo così l’obiettivo primario della riforma (la BCE argomenterà dopo, nel suo parere, la medesima cosa).

Rimarcammo poi le necessità: di evitare eccessive centralizzazioni e verticalizzazioni nella capogruppo per garantire la prossimità al territorio e scongiurare significative tensioni occupazionali; di mantenere il controllo delle BCC sulla capogruppo, salvo situazioni estreme di reale pericolo per la stabilità; di tenere presente che l’alimentazione di uno strumento universale e solidaristico di garanzia reciproca, comunque necessario, ipotizzato attraverso la creazione di un buffer di capitale indisponibile nelle singole BCC, avrebbe generato, nella congiuntura odierna, una ulteriore diminuzione della capacità di erogare credito.

Possiamo oggi affermare, con soddisfazione, che in buona misura le nostre preoccupazioni sono state comprese e le previsioni interessate emendate (way out depotenziata e limitata temporalmente; possibilità per la capogruppo di costituire gruppi territoriali con compiti funzionali; controllo minimo della capogruppo da parte delle BCC al 51%; trasformazione del buffer di capitale indisponibile nella previsione di un buffer di alta qualità e agevole smobilizzo).

Questo risultato concreto si traduce, seppur indirettamente, in minori problemi per i lavoratori che rappresentiamo e per l’occupazione, soprattutto in prospettiva, perché rende il Credito Cooperativo immaginato dalla riforma più equilibrato, stabile e coerente con la propria missione.

La normativa di secondo livello emanata dalla Banca d’Italia all’inizio di novembre 2016, in applicazione del disposto legislativo, segna l’avvio del periodo transitorio, la cosiddetta “seconda fase” (al massimo 18 mesi), entro la quale dovrà avvenire la presentazione delle iniziative di costituzione dei nuovi gruppi bancari cooperativi.

A questo proposito, la dialettica interna al Credito Cooperativo non accenna ancora a ricomporsi ed anzi in occasione dell’assemblea nazionale di Federcasse del 25 novembre 2016 si è ulteriormente radicalizzata, mantenendo ancora formalmente aperta la possibilità che nascano due gruppi bancari (uno con a capo l’attuale gruppo Iccrea e l’altro la Cassa Centrale di Trento), ipotesi sciagurata che auspichiamo sia presto archiviata.

Mettersi insieme è un inizio,
rimanere insieme è un progresso,
lavorare insieme un successo.
(Henry Ford)