#3 Un sindacato nuovo proiettato nel futuro

Nel nostro mondo del lavoro la retorica del cambiamento imperversa e viene utilizzata, da una parte, per eliminare ogni obiezione alle modalità con cui esso si realizza, stigmatizzando qualunque critica come oscurantismo, inadeguatezza ai tempi, segno di senescenza incontrovertibile, dall’altra, per demonizzare gli effetti del cambiamento stesso, paventando conseguenze catastrofiche ad esso legate, quasi a voler precostituire gli alibi filosofici ed etici per rendere scontata una successiva fase di recessione dei diritti, delle condizioni economiche e della valorizzazione professionale dei lavoratori.

In realtà un uso strumentale delle argomentazioni legate al cambiamento, di per sé inarrestabile, rischia solo di far venire meno un corretto approccio ad esso, stimolando, in un modo o nell’altro, adesioni cieche e disponibili ad avventure scriteriate, ovvero, per reazione, resistenze misoneiste, ideologiche, ottuse e incapaci di cogliere le opportunità comunque disponibili.

Oggi, lo stereotipo del cambiamento che si va diffondendo, porta ad immaginare un prossimo futuro in cui la tecnologia digitale, capace di fare a meno dell’uomo, potrà produrre una tale eccedenza della forza lavoro da costringerci a ragionare sull’incipiente abbassamento delle condizioni salariali e, più complessivamente, di tutela dei lavoratori.

Il cambiamento, dunque, non viene prospettato come un’occasione di rinnovamento e progresso che potrà accompagnare una nuova condizione del benessere lavorativo e sociale, ma come una minaccia a cui doversi arrendere, accettando i deteriori effetti annunciati, pur di non essere spazzati via.

FIRST CISL non condivide questa inedita visione terrorista del cambiamento: una simile proposizione esaspera le resistenze passive e vanifica l’opportunità di progresso sociale, culturale ed economico che nella storia umana il cambiamento ha sempre alimentato.

I progressi della tecnica hanno sempre accompagnato i grandi cambiamenti sociali, stimolandoli e consentendo l’elevazione del pensiero, ancor prima delle condizioni di vita materiale.

Dall’homo sapiens in poi la storia umana è scandita da scoperte e innovazioni clamorose e stravolgenti, rispetto alla somma delle quali l’attuale evoluzione tecnologica, ai nostri occhi tanto straordinaria, è destinata a restare, tra le tante, non certo la principale.

Una novità la cosiddetta rivoluzione digitale invero la contiene: quella di progettare strumenti in grado di sostituire, artificialmente, il lavoro dell’uomo non solo nella produzione industriale o nell’elaborazione dei dati, ma anche nella prestazione dei servizi alla persona e nella interlocuzione con altri esseri umani.

La novità della digitalizzazione non risiede, dunque, nella prospettiva di sostituire il lavoro delle braccia o dell’intelligenza umana come già è avvenuto da molto tempo con la meccanizzazione delle attività produttive o con l’informatizzazione di quelle intellettuali, ma nella possibile sostituzione del lavoro umano nei servizi di consulenza e assistenza.

Le recenti robotizzazioni di call-center assicurativi in Giappone vanno in questa direzione, sebbene vada detto che i limiti di affidabilità e di estensibilità delle funzioni sono ancora tutti da sperimentare e che gli effetti di forme di consulenza realizzata attraverso l’applicazione di algoritmi, per quanto sofisticati, non potranno essere valutati nel breve periodo, essendo almeno necessario comprendere le potenzialità ed i risultati di tali strumenti nelle diverse condizioni ambientali e storico-temporali in cui saranno utilizzati.

Già nelle banche la scarsa efficienza di alcune innovazioni tecnologiche, per esempio nel campo della valutazione del merito creditizio, progettate senza prevedere la possibilità di correzione da parte di un professionale giudizio umano, hanno prodotto esiti catastrofici; esiti le cui cause, ancora oggi, pur in presenza di un deterioramento degli attivi senza precedenti, in nome di quelle strumentalizzazioni a cui ci riferivamo in premessa, vengono rimosse e attribuite esclusivamente alla crisi, come se essa fosse una congiuntura estranea alla responsabilità delle istituzioni, banche comprese.

L’approccio al cambiamento che ci viene proposto dagli attuali gruppi dirigenti è, quindi, un approccio puramente speculativo, indifferente ai risultati che esso produce dal punto di vista sociale ed economico e perfino resistente alla constatazione delle inefficienze connesse ad un acritico utilizzo delle nuove tecnologie; l’unico interesse perseguito sembra essere quello relativo al ridimensionamento del costo del lavoro, senza alcuna valutazione degli effetti collaterali.

Con questo approccio, assolutamente coerente con l’atteggiamento speculativo che il management del settore finanziario ha avuto negli ultimi trent’anni, forse per la prima volta nella storia l’innovazione non verrebbe messa al servizio di una maggior qualità della produzione (come fu con le catene di montaggio, che garantivano uno standard elevato e omogeneo dei prodotti industriali e con l’informatizzazione, che garantì processi di elaborazione dati rapidi e precisi oltre ogni possibilità umana), ma esclusivamente di una minore onerosità della stessa.

Il robot che fa consulenza, infatti, non potrà competere né sul piano relazionale, né su quello emotivo con l’addetto allo sportello e, francamente, visti risultati di altre applicazioni, dubitiamo che possa competere anche sulla qualità del servizio professionale offerto; così come viene paventato, dunque, competerebbe solo sul versante dei costi, senza nessun beneficio né per i lavoratori, né per i clienti.

È ovvio, quindi, che il sindacato non possa accettare l’imposizione di modelli che declinano verso l’emarginazione sociale dei lavoratori, ma, altrettanto, è d’obbligo che, non lasciandosi spaventare dalle minacce, eviti di nascondersi nel ricordo delle sicurezze di un passato che non tornerà, abbandonandosi ad atteggiamenti speculativamente eristici.

Il sindacato ha, da sempre, l’obbligo di contribuire al presente, di rifuggire dai ricatti della paura e usare il tempo per progettare il futuro, sfruttando al meglio l’esperienza del passato.

Il presente è fatto così: si guida l’automobile acquistata ieri e si cerca la migliore strada per arrivare alla destinazione di domani.

Se non fossimo capaci di governare il presente saremmo inevitabilmente fermi ed essere fermi non è diverso tra chi è irremovibile nell’idea di un passato che non c’è più e chi lo è nell’idea di un futuro che non c’è ancora.

Vista con sguardo non intimorito né corrotto, la principale conseguenza dell’innovazione digitale non sta, dunque, nella sostituzione dell’uomo con la macchina in alcune mansioni, cosa da sempre avvenuta con i progressi tecnici, ma nella creazione di una grande flessibilità, non “del lavoro”, ma “dei lavori” anche nel mondo dei servizi.

Le catene di montaggio, così come i computer, non hanno spostato fisicamente il lavoro, ma hanno cambiato le mansioni dei lavoratori; la digitalizzazione, invece, smaterializza i luoghi e, perfino, gli orari di lavoro, rendendo eseguibili gli stessi lavori in situazioni spazio-temporali le più diverse.

È, dunque, una novità che ci costringe a riflettere non tanto su come impedire alle macchine di violare l’ultimo stereotipo della insostituibilità della prestazione umana, quello del lavoro di relazione, ma su come la relazione tra persone possa essere esaltata beneficiando di questi nuovi supporti.

Proprio pensando ai call center robotizzati, piuttosto che disperarci per la potenziale perdita di posti di lavoro di “laureati con le cuffiette”, dovremmo provare a considerare che la macchina potrà sostituire questi ultimi nell’esecuzione di un lavoro da noi stessi considerato alienante, liberando la possibilità di sviluppare nuovi compiti nei più disparati servizi di consulenza ad elevato valore aggiunto, che una visione realmente progressista dei processi di innovazione ha l’obbligo di proporre per ricostruire, attraverso una maggiore qualità, le basi di una crescita collettiva da troppi anni ridimensionata, più che dalla crisi economica, da un’inaccettabile sperequazione nella distribuzione dei redditi.

Adattarsi al cambiamento per FIRST CISL non significa né assecondarlo facendo finta che tutto vada bene, né subirlo lamentandosi delle ingiustizie che genera, ma pretendere di usarlo per procedere dal presente verso una migliore destinazione.

Siamo convinti che il progresso sociale, che ci sta a cuore più di quello economico e da cui anzi il progresso economico trae sempre beneficio, non sia fatto solo di adattamento dell’uomo al cambiamento, ma soprattutto di adattamento del cambiamento all’uomo.

Il nostro compito non è quello di mettere l’acqua nei fiumi, bensì, ogni volta, di indirizzare la corrente, costruendo argini solidi e dighe utili non a fermarla, ma a trarne energia.

Qualsiasi innovazione tecnologica
può essere pericolosa:
il fuoco lo è stato fin dal principio
e il linguaggio ancor di più;
si può dire che entrambi
siano ancora pericolosi al giorno d’oggi,
ma nessun uomo potrebbe dirsi tale
senza il fuoco e senza la parola.
(Isaac Asimov)