#2 Rappresentare tutti per partecipare attivamente

La crisi economica trae origine anche da una crisi di valori sociali e culturali, e si nutre dell’incapacità delle classi manageriali e politiche, non solo italiane, di mettere in campo una visione di prospettiva complessiva e duratura.

I bisogni dettati dall’avidità di pochi sono gli unici a cui il mercato, da molto tempo, offre profittevoli risposte, a scapito della maggioranza dei cittadini, a partire dai lavoratori e, ancor prima, dai giovani in disperata ricerca di occupazione.

L’analisi di dettaglio delle origini e del perdurare della crisi è perfettamente tracciata nelle tesi del XVIII Congresso della CISL, che assumiamo integralmente e alle quali, dunque, rinviamo per ogni approfondimento di questo e altri argomenti che non tratteremo nel presente documento.

La mancata soluzione della crisi e il conseguente deterioramento delle condizioni di benessere e delle tutele faticosamente conquistate e difese dai lavoratori in decenni di contrattazione impongono ora un’accelerazione nella ricerca di nuovi strumenti di relazione sociale e di nuovi modelli di rappresentanza: è su questo fondamentale aspetto che intendiamo soffermarci.

In assenza di crescita economica o, peggio, in presenza di recessione, il modello concertativo, che dagli anni ’90 sostituisce in Italia quel modello conflittuale con cui erano state gestite le relazioni industriali a partire dal dopoguerra, mostra evidenti e inevitabili deficit: la gestione concertata delle ricadute negative, senza alcuna prospettiva di condivisione di benefici, non può trovare il necessario consenso tra i lavoratori e, d’altra parte, l’avidità dei gruppi dirigenti e l’ottusa rigidità delle regole comunitarie non favoriscono la possibilità di temperare gli effetti della recessione attraverso politiche distributive e investimenti, anche pubblici, a sostegno della ripresa.

Nel settore bancario gli effetti della crisi agiscono ancor più pesantemente che in altri settori, anche a causa dell’inflessibilità dei regolatori del sistema, schizofrenici nell’imporre crescenti vincoli di capitalizzazione alle imprese e, insieme, nel suggerire l’alienazione degli attivi deteriorati a prezzi incompatibili con la tenuta patrimoniale delle banche stesse.

La rischiosissima situazione di sistema che ne consegue produce certamente la necessità di riflettere urgentemente sugli strumenti alternativi a quelli disponibili, da mettere in campo per arginare il rischio di demolizione delle conquiste sociali e sindacali.

Da queste considerazioni, in breve riassunte, nasce la riflessione che, nel 2015, conduce DIRCREDITO e FIBA CISL a decidere insieme un percorso ritenuto, a quel punto, necessario.

Il sindacalismo conflittuale, vive il suo declino non per la debolezza degli attuali sindacati, come qualche superficiale detrattore vorrebbe accreditare, ma a causa del cambio dei paradigmi politici ed economici internazionali e nazionali dai quali traevano equilibrio le relazioni tra forze di rappresentanza, quelle dei lavoratori e quelle delle imprese, altrimenti impari.

La concertazione entra in crisi perché non è più sufficiente ad arginare le ricadute a carico dei lavoratori, in un contesto di recessione economica e valoriale, in cui gli errori compiuti nei processi decisionali delle imprese ricadono sui lavoratori, spesso nell’indifferenza dei governi e degli altri cittadini.

Da qui, la consapevolezza che l’unica via percorribile per riaffermare la centralità del lavoro nella società, sia quella che, nel lungimirante progetto della Costituente, anche grazie al determinante impulso dettato da Giulio Pastore, più tardi fondatore della CISL, fu definita nell’art. 43 (oggi art. 46) della nostra Costituzione.

Il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione delle imprese, infatti, appare indispensabile per dare vita ad un sindacalismo moderno, capace di intercettare le opportunità di sviluppo rendendosi protagonista delle scelte su cui costruire i nuovi paradigmi delle relazioni industriali; e per ricostruire modelli di società in cui la coesione, che ha consentito lo sviluppo dal dopoguerra in poi, possa essere rifondata non sul contrasto di interessi di classe mediato dalla politica, come fu per i primi 50 anni della nostra Repubblica, ma dalla corresponsabilizzazione di lavoratori e imprese nella costruzione di un nuovo sviluppo sostenibile.

È solare come la caduta reputazionale a cui è andato incontro il mondo dalla finanza e delle banche abbia esizialmente coinvolto tutti i lavoratori esponendoli a situazioni intollerabili, talvolta perfino a rischio dell’incolumità e abbia ribaltato su di essi non solo l’attribuzione di responsabilità oggettivamente da ricercare altrove, ma anche, inevitabilmente, durissime conseguenze di natura economica e ambientale.

Alla frustrazione, che il disagio conseguente a questa situazione genera, l’unica risposta possibile, viste le difficoltà a districare gli gnommeri di potere e interessi che stanno a monte di certe situazioni, può essere fornita da modelli di impresa vigilati dal basso, condizionati, nelle scelte organizzative e gestionali, anche dai portatori di interessi diversi, non alternativi ma certamente complementari e, talvolta, concorrenti a quelli di un capitale sempre più distante e insensibile alla sostenibilità sociale dei suoi impulsi.

È dunque questo il nuovo progetto di rappresentanza del lavoro che FIRST CISL mette in campo sin dalla sua nascita, cogliendo un primo, straordinario risultato con la sottoscrizione dell’accordo sulle politiche commerciali e l’organizzazione del lavoro lo scorso 8 febbraio in ABI.

Un progetto di rappresentanza unitaria del lavoro attraverso la partecipazione, che non può prescindere dalla unicità di rappresentanza di tutti i livelli professionali: per questo la prima scelta di FIRST CISL è quella di rappresentare tutti i lavoratori, dal dirigente al commesso, con piena e non solo convenzionale titolarità e responsabilità.

Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro
e in armonia con le esigenze della produzione,
la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare,
nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi,
alla gestione delle aziende.
(Costituzione della Repubblica Italiana – art. 46)