Social network, i rischi dell’utilizzo in ufficio, ecco come tutelarsi

L’ultimo numero del Bollettino Adapt , il periodico dell’associazione senza fini di lucro fondata da Marco Biagi nel 2000 per promuovere studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali, pubblica uno  studio a cura di Domenico Iodice e Riccardo Colombani, dell’Ufficio Studi First Cisl, dal titolo Social network e responsabilità disciplinari: le possibili tutele individuali.
Il documento è un vero e proprio vademecum operativo per il lavoratore e per il sindacalista, affronta il tema dei social con un approccio giuridico, focalizzando l’analisi sui riflessi giuridico- disciplinari che possono scaturire dall’utilizzo improprio dei social network e prova a rispondere alle domande che ciascuno di noi si è posto almeno una volta nella vita:

  • a quali rischi posso incorrere se utilizzo impropriamente gli strumenti (pc, tablet, smartphone) fornitimi dall’azienda per la quale lavoro?
  • posso postare sui social durante l’orario di lavoro, anche utilizzando il mio smartphone personale in occasione di una breve pausa?
  • se come cittadino la mia libertà di espressione è garantita dalla Costituzione, come lavoratore posso esprimere liberamente sui social networks i miei commenti e le mie opinioni sul datore di lavoro, anche mediante post riservati o pubblicando esclusivamente in gruppi chiusi (come quelli su Facebook, o nei gruppi WhatsApp, ecc.)?
  • in definitiva, come posso tutelare il mio diritto di parola e di espressione (art. 21 della Costituzione) senza espormi a serissime conseguenze disciplinari?

Oltre a fugare ogni dubbio, gli autori propongono anche un utile decalogo di comportamento che qui riepiloghiamo brevemente:

  1. evitare di indicare, tra le informazioni dei propri profili “social”, lo status di “dipendente della tale azienda”, ancor più da evitare il ricorso ad immagini con il logo aziendale;
  2. profilare il proprio livello di privacy ad un accesso limitato (es: solo agli amici);
  3. evitare la pubblicazione di opinioni personali sulla propria azienda o di condividere o  ripubblicare quelle di altri, colleghi, amici, ma anche fossero autorevoli economisti,  limitandosi a linkare contenuti già di pubblico dominio e presi da fonte certa (giornali, web magazine, ecc). Evitare quindi di pubblicare notizie non certe o da fonte non riconosciuta;
  4. evitare anche di pubblicare foto scattate all’interno di locali e ambienti di lavoro, perché inavvertitamente potrebbero finire in rete dati sensibili (l’elevata risoluzione delle fotocamere di nuova generazione, di cui sono dotati anche i recenti smartphone, può ‘pescare’ nell’obiettivo anche la schermata di un pc o il testo di un foglio di carta su una scrivania);
  5. leggere con la massima attenzione la normativa aziendale ed uniformarsi ad essa;
  6. evitare, in linea di massima, l’uso dei social durante l’orario di lavoro e certamente evitare di utilizzare a tale scopo improprio gli strumenti aziendali di lavoro (PC, tablet, smartphone);
  7. utilizzare i social con stile e buona educazione. Sembra una banalità, ma ricordiamoci che siamo bancari, professionisti depositari della fiducia di molte persone, e chi ci conosce nella vita reale potrebbe sorprendersi di scoprirci ‘haters’ nella vita virtuale;
  8. evitare di diffondere notizie o dati di cui si è venuti a conoscenza in virtù del proprio incarico lavorativo. Più è elevato il proprio grado di responsabilità all’interno dell’organico aziendale e più si rischia in caso di incauta pubblicazione o divulgazione, infatti l’obbligo di fedeltà e riservatezza prevale sul diritto di opinione;
  9. in caso di contestazioni disciplinari, evitare di rilasciare dichiarazioni scritte all’azienda, è sempre meglio contattare con celerità e fiducia il proprio rappresentante sindacale;
  10. ricordarsi sempre che con le recenti variazioni legislative introdotte nel Diritto del Lavoro (Riforma Fornero e Jobs Act) e secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, i comportamenti del lavoratore ritenuti nocivi verso il datore di lavoro (come la pubblicazione non conforme sui social) in molti casi, ora, possono comportare persino il licenziamento senza possibilità di reintegro, neanche in sede giudiziaria.

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