Una storia di ingiustizie subite che qualcuno vorrebbe trasformare in infamia

Oggi alcuni quotidiani hanno ripreso un lancio Ansa di ieri nel quale era citato un articolo comparso sul giornalino sindacale interno alla First Cisl del gruppo Banca Popolare di Vicenza nel quale il nostro coordinatore di gruppo, Paolo Ghezzi, racconta la sua personale esperienza di socio di minoranza in un’impresa che, purtroppo, ha avuto difficoltà nel rimborsare il proprio debito alla banca.

Cerchiamo di riassumere che cosa dice Ghezzi:

  1. “La società, la Pian delle Vigne Srl, non è affatto mia: io detengo solo una partecipazione di minoranza acquisita investendo miei personali risparmi. Per sottoscrivere quella partecipazione non ho chiesto alcuna facilitazione creditizia alla banca di cui sono dipendente. La partecipazione non genera alcun conflitto di interessi né con l’attività di lavoratore dipendente, né con quella di sindacalista. Come dipendente, nel rispetto dell’articolo 38 del vigente CCNL, non ho mai ricoperto alcun incarico di gestione nella suddetta società e, ad ogni buon conto, segnalai tempestivamente alla banca l’esistenza della mia partecipazione societaria, ricevendo, come di prassi per qualunque dipendente, formale nulla osta da parte della banca stessa. Per quanto riguarda la mia posizione di sindacalista, al momento dell’acquisizione di quella partecipazione non ricoprivo incarichi di rilievo (ero solamente RSA). Sottolineo che in ogni caso, nelle mie relazioni con la banca, non mi sono mai occupato della società in cui avevo investito i miei risparmi.”;
  2. “Il finanziamento ottenuto dalla società Pian delle Vigne Srl, per quanto mi risulta, è assistito da ipoteca ampiamente capiente rispetto agli importi ricevuti (al momento in cui si verificarono le condizioni di difficoltà, il debito residuo era di circa 1,8 milioni di euro). L’entità attuale del debito sconta purtroppo un incremento dovuto all’applicazione di interessi e commissioni che ne hanno più che raddoppiato il valore originario. Lo stallo della società fu dovuto al sequestro del cantiere per un presunto abuso edilizio, poi giudicato inesistente, purtroppo con i tempi lentissimi della giustizia italiana, dalla Corte d’Appello di Firenze. Quindi, benché io non ne fossi in alcun modo partecipe, mi pare opportuno sottolineare che all’amministrazione della società, alla luce della sentenza, non può essere addebitata alcuna effettiva colpa nella vicenda che ha pregiudicato l’iniziativa imprenditoriale.”;
  3. “Il sindacato che oggi rappresento nel gruppo, la First Cisl, è l’unico che si stia concretamente battendo per affidare gli npl ad una gestione di recupero seria, paziente e non speculativa. Come rappresentante di First Cisl sto dunque sostenendo che i crediti erogati dalle banche debbano essere recuperati per il più alto importo possibile e che non debbano invece essere svenduti sul mercato e successivamente stralciati. Sostengo decisamente e pubblicamente la posizione della mia sigla anche se è evidente che nel caso che mi vede coinvolto il mio tornaconto personale sarebbe quello di sostenere invece una modalità che consenta alla società di liberarsi del debito concordandone lo stralcio per importi inferiori rispetto al capitale ricevuto. Quello che sostengo, insomma, è che, a costo di doverci rimettere personalmente molto denaro proveniente dai miei risparmi, io sto con la mia organizzazione nel promuovere un modello diverso dall’attuale per il recupero del credito deteriorato, perché il mio primo dovere di sindacalista è quello di difendere gli interessi dei lavoratori e della banca in cui lavoro. Non pretendo per questo di essere citato come un eroe, ma spero almeno in un minimo di rispetto personale.”;
  4. “Ho deciso di raccontare questa vicenda perché penso che costituisca un esempio concreto, vissuto purtroppo in prima persona, di come modelli di gestione diversi da quelli attualmente praticati nel sistema del credito potrebbero produrre risultati migliori sia per le banche che per le imprese affidate. Ho aspettato a farlo, perché è difficile parlare dei fatti propri in pubblico e, personalmente, mi è anche difficile ammettere, con me stesso, di aver perso i miei soldi. Mi aspettavo strumentalizzazioni e, infatti, anticipai alla fine del mio racconto che sapevo che ne sarei stato vittima, ma sono certo che chi è in buona fede come lo sono io non si lascerà fuorviare da argomentazioni evidentemente interessate”.

In sostanza, Ghezzi è un risparmiatore che ha investito i propri risparmi in un’impresa e che, con ogni probabilità, dovrà rassegnarsi alla perdita dei soldi investiti, esattamente come accade agli azionisti della banca di cui è dipendente.

La perdita, se ci sarà, dovrà essere attribuita a:

  1. un ingiusto provvedimento amministrativo ad opera di un Comune;
  2. la lentezza con cui si è realizzato l’iter processuale che, alla fine, ha rimosso l’ingiusto blocco amministrativo, quando però l’investimento era diventato insostenibile a causa dei costi finanziari causati dal ritardo nella conclusione dello stesso;
  3. un modello di gestione del rapporto tra banche e clienti che, evidentemente, non aiuta e anzi aggrava la soluzione delle difficoltà.

Su quest’ultimo punto ci permettiamo di porgere a chi ci legge una domanda retorica: in un caso come questo, uguale a migliaia di altri casi occorsi a tanti investitori in tante banche italiane, sarebbe stato più efficace disinteressarsi dell’esito della vicenda imprenditoriale pretendendo però di applicare interessi tali da produrre in 10 anni un aumento del debito del 110%, oppure affiancare l’impresa nella difesa, anche legale, di interessi comuni?

Ecco, noi pensiamo che per casi come questo, se le banche fossero capaci di tutelare i propri crediti, non caricandoli di interessi assurdi, ma affiancando il debitore nella difesa di interessi che sono di fatto solidali tra lui e la banca che ha finanziato l’investimento, molto del contenzioso che oggi abbiamo non esisterebbe.

Un investimento entrato in difficoltà, non perché sbagliato, non perché mal gestito, non perché oggetto di malversazioni da parte dell’amministratore, ma solo perché ostacolato da eventi esterni imprevedibili o, addirittura, illegittimi, meriterebbe a nostro avviso una diversa attenzione: se la banca, anziché disinteressarsi alle vicende che causano il deterioramento del credito, se ne occupasse direttamente, insieme al cliente, il credito probabilmente non si ammalerebbe o quantomeno potrebbe risanarsi.

Invece si è pressoché sempre preferito aggravare la posizione debitoria applicando la mora, piuttosto, per esempio, che tutelare i capitali investiti affiancando legalmente il cliente nel suo ricorso, per valutarne le effettive ragioni e sostenerlo nel tempo, qualora queste ultime fossero state concretamente dimostrate.

La scelta di Paolo Ghezzi di raccontare quanto gli è personalmente accaduto dice esattamente questo e dunque, anche se il clamore che ne viene dato ci pare un po’ eccessivo, noi crediamo che abbia avuto coraggio nel rendere pubblica la sua vicenda. Non è certo una storia rilevante per l’entità del debito in proporzione al deteriorato della banca (rappresenta lo 0,02% del complessivo). Né, come qualcuno sembra voler far passare, esiste un ruolo del sindacato nella vicenda (la società debitrice non ha nessun collegamento con nessun sindacato). Non c’è neppure traccia di conflitto di interessi da parte di Ghezzi che, in questa vicenda, è solo un risparmiatore che, suo malgrado, ha buttato nel secchio i propri soldi, investendoli in un’attività che non ha avuto successo…

E allora ci restano alcuni dubbi.

  • Chi ha veicolato ad un’agenzia di stampa milanese una comunicazione riservata ai nostri iscritti?
  • A chi interessava dare risalto a una “non notizia” come questa?
  • E perché la solita mail, con indirizzo a cui non si può risalire, ha immediatamente inoltrato la notizia a tutti i lavoratori, peraltro selezionando i titoli più insinuanti e omettendo gli articoli che chiarivano la posizione di Ghezzi?
  • Come è possibile che qualcuno, anonimo, abbia gli indirizzi email, sia privati che lavorativi, dei dipendenti di diverse banche per usarli regolarmente contro la nostra sigla?
  • Ci sono forse interessi che abbiamo offeso portando avanti la nostra campagna sulla gestione non speculativa degli npl?
  • E infine – cui prodest? – a chi giova questa strumentale campagna diffamatoria?

Giulio Romani
Segretario generale First Cisl